L’oceano è in pericolo, non laviamocene le mani
L’8 giugno è stata la Giornata Mondiale degli Oceani. Si celebra la giornata in questa data per ricordare la Conferenza si Ambiente e Sviluppo avvenuta a Rio de Janeiro nel 1992. Il WWF è istituito questa Giornata Mondiale per ricordare l’importanza gli oceani per la vita sul pianeta e quanto sia fondamentale preservarne la salute. Il declino del 50% delle specie marine minaccia l’uomo e la natura. La cura per gli oceani è nelle nostre mani, riduzione delle emissioni di CO2 e acquisti consapevoli dei prodotti ittici.
In occasione della Giornata Mondiale degli Oceani il WWF sottolinea la gravità degli effetti prodotti dal cambiamento climatico negli straordinari ecosistemi degli oceani e dei mari del mondo. Tra le conseguenze globali dell’aumento di CO2 in atmosfera c’è infatti un impatto diretto sugli oceani, la porzione ‘blu’ del pianeta che svolge un ruolo cruciale nella regolazione del clima. I mari e gli oceani assorbono mille volte più calore dell’atmosfera e hanno trattenuto fino ad oggi il 90% dell’energia in più derivante dall’incremento dei gas serra dovuti all’azione umana.
La salute degli oceani è a rischio e così anche la nostra
Un terzo di quel calore è penetrato fino a una profondità superiore a 700 metri Questo potrebbe addirittura soffocare la vita delle creature marine entro 20 anni secondo un recente studio del National Center for Atmospheric Research. In più gli oceani e i mari assorbono circa il 30% della CO2 che le attività umane emettono in atmosfera (per esempio bruciando i combustibili fossili) e questo provoca l’acidificazione degli oceani: dall’inizio dell’era industriale, l’acidità degli oceani è aumentata del 26%. Con l’attuale livello di riscaldamento e acidificazione delle acque rischiamo di perdere le barriere coralline entro il 2050. Recenti studi dimostrano che il pianeta ha già perso il 50% di questi preziosi ecosistemi corallini da cui dipende la vita di molte comunità e la ricchezza di biodiversità dei mari.
Il count down per il Mediterraneo potrebbe essere già iniziato: un triste indicatore è la grande diffusione delle meduse, dovuta al riscaldamento delle acque, alla distruzione degli ecosistemi marini e alla modificazione delle catene alimentari prodotto da una pesca eccessiva e insostenibile. Mentre prima si registravano picchi di presenza di meduse ogni 10-15 anni oggi abbiamo cadenze annuali.
Cambiamento climatico e acidificazione degli oceani creano sinergie e amplificano l’impatto di altre minacce come la pesca eccessiva e la distruzione degli habitat marini, tutti fenomeni sempre riconducibili all’attività umana. Ciò significherebbe la fine di almeno il 25 % della biodiversità nel mare, così come la perdita delle possibilità di pesca ed un impatto significativo su molti settori produttivi come il turismo.
Cosa possiamo fare per salvare gli oceani?
C’è ancora molto da fare per proteggere gli oceani, anche perché è stato esplorato solo il 5% dei fondali marini mondiali. Il 12% della Terra è area protetta mentre solo il 2% degli oceani è costituito da zone protette. L’introduzione di un maggior numero di aree protette potrebbe ridurre un fenomeno pericolosamente in aumento negli ultimi anni. Dalla conferenza del 1992 infatti il traffico marino è aumentato del 300% e questo ha messo in pericolo l’habitat naturale delle balene, luoghi dove gli animali vivono e si riproducono. Inoltre negli anni le navi hanno aumentato la loro velocità, rendendo ancor più difficile per le balene allontanarsi in tempo dalla loro traiettoria. L’associazione Friend of the Sea ha calcolato che ogni anno muoiono circa 20 mila esemplari di balena a causa del traffico marino. L’associazione ha lanciato Whale Safe una certificazione per fermare la mattanza ed ha individuato 11 aree ad alto rischio tra cui il mar Mediterraneo, lo Sri Lanka, la Patagonia, Panama e la calotta polare artica.
Il certificato viene consegnato alle imprese che rispettano alcuni criteri, come ad esempio implementare un sistema permanente di termocamere per intercettare le balene, essere parte di un sistema di mappatura online per allertare sulla presenza delle balene in una determinata zona, ridurre la velocità di navigazione per scongiurare il rischio di collisione con gli animali.
Inquinamento degli oceani: plastiche e microplastiche
La causa principale dell’inquinamento negli oceani è l’enorme quantitativo di plastiche e microplastiche che ogni anno si riversa e si accumula lungo le coste ma anche nelle zone interessate dalle correnti marine: in questi punti si accumulano quantità di plastiche così grandi da coprire la superficie di intere nazioni, si parla infatti di vere e proprie isole di plastica galleggianti.
Gli scienziati hanno individuato i sei punti più grandi sul globo terrestre in cui hanno luogo queste formazioni: Grande e Sud Pacifico, Nord e Sud Atlantico, Oceano Indiano e mare Artico. Tutti i punti nevralgici delle correnti marine hanno la loro isola di plastica. La più grande è quella nel Nord Pacifico ed è conosciuta anche con il nome di “Pacific Trash Vortex“. Una vera e propria isola di plastica, le cui dimensioni variano a seconda del respiro delle correnti: nei momenti di massimo accumulo arriva addirittura a misurare fino a 10 milioni di km2, stiamo parlando di un’area che corrisponde all’intera superficie del Canada.
Il principale fattore di inquinamento degli oceani è attribuibile alla cattiva gestione dei rifiuti. Infatti, le plastiche si riversano in mare trascinate a valle dai fiumi. All’attività indiretta dei fiumi, si aggiunge anche l’attività diretta di abbandono di rifiuti sulle spiagge. Anni di cattive abitudini, di incuranza e di sprechi hanno condotto a una situazione non più sostenibile. Per fortuna, sempre più Paesi stanno correndo ai ripari vietando l’utilizzo delle plastiche monouso e delle microplastiche: la direttiva Europea che vieta l’uso delle plastiche monouso va esattamente in questa direzione. Ma non è ancora abbastanza. Bisogna passare quanto prima alla raccolta delle plastiche nei mari e procedere al loro corretto smaltimento. Le numerose iniziative di pulizia degli oceani nelle zone costiere, organizzate da imprese e da associazioni ambientaliste, sono un limpido esempio di cittadinanza attiva che vanno supportate e incentivate.
Le parole della presidente del WWF Italia
“I cambiamenti climatici non influenzeranno solo la vita dei mari e degli oceani, ma quella di milioni di persone che abitano le loro coste – dichiara Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia – La fisionomia stessa delle coste europee cambierà, con forti impatti non solo ambientali ma sociali ed economici. Se il mare fosse una nazione, sarebbe la settima più’ importante economia al mondo: per questo, accanto all’applicazione veloce e rigorosa delle misure necessarie a raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al massimo a 2°C, fissato nell’Accordo di Parigi, vanno parallelamente prese misure efficaci per fermare la distruzione degli stock ittici e per salvare la risorsa marina di cibo e lavoro per oltre 800 milioni di persone nel mondo”.
Giornata Mondiale degli Oceani 2021: l’evento
La seconda celebrazione completamente virtuale della Giornata Mondiale degli Oceani evidenzierà il ruolo dell’Oceano come fonte di vita. Prodotto dalla Divisione per gli affari marittimi e della legge marina delle Nazioni Unite, in collaborazione con l’organizzazione no-profit Oceanic Global, presentato dal partner organizzativo Blancpain e sponsorizzato da La Mer, l’evento vedrà oltre 40 leader di pensiero, celebrità, partner istituzionali, voci della comunità, imprenditori ed esperti del settore. UNWOD 2021 sarà infatti caratterizzato da talks, tavole rotonde e presentazioni che metteranno in evidenza la biodiversità, le ultime scoperte oceaniche, l’interconnessione tra l’oceano e i suoi ecosistemi, e altro ancora.
Le foto di questo post sono scatti di Ray Collins